Il Religioso
Fin da piccolo ha avuto la certezza della sua vocazione alla vita consacrata e sacerdotale, lasciando a soli 11 anni il suo caro paese per andare nel lontano Trentino. Diceva, col suo tipico senso umoristico, riferendosi al fatto che le vocazioni precoci non sono oggigiorno più curate come un tempo: «sono contento di essere nato alla mia età, così da poter entrare da piccolo in seminario, perché se fossi nato oggi, non so cosa sarebbe avvenuto della mia vita».
Il 20 settembre 1955 emise la prima professione a Crespano del Grappa cui seguì tre anni dopo quella perpetua, il 4 ottobre 1958, a Piacenza in Emilia Romagna città in cui ricevette l’ordinazione sacerdotale il 18 marzo 1961 nella casa madre dell’istituto.
I superiori, consapevoli delle particolari doti intellettuali di Padre Velasio, lo inviarono per ulteriori studi a Roma, dove conseguì il dottorato in Diritto Canonico nella Pontificia Università Gregoriana; la licenza in teologia nella Pontificia Università di San Tommaso D’Aquino, ed anche la laurea in giurisprudenza nell’Università La Sapienza di Roma. Frequentò inoltre i corsi di teologia morale all’Accademia Alfonsiana presso la Pontificia Università Lateranense.
Ha ricoperto diverse cariche nella sua congregazione: Professore di teologia morale e di diritto canonico nello studentato teologico, dal 1964 al 1970; Rettore dello studentato teologico dal 1970 al 1974; Consigliere Provinciale dal 1970 al 1974; Consigliere generale dal 1974 al 1980; Procuratore Generale dal 1974 al 1986.
È stato un religioso esemplare, umile, docile, povero e semplice. Aveva avuto una solida formazione, di cui parlava sempre con gratitudine. Nel luglio del 2016, davanti a 60 suore riunite in capitolo generale, ricordava il suo anno di noviziato presso i religiosi scalabriniani con queste parole: «Io ricordo quando ho fatto il noviziato, sessanta anni fa, nel 1954-1955, ed era l’anno mariano. Lo ricordo bene questo anno di noviziato. Diventare religioso significava impegnarsi asceticamente nella vita ed era una cosa importante; perciò la mortificazione, il sacrifico, l’obbedienza, la disponibilità, erano le virtù che si richiedevano maggiormente. E, di fatto, una formazione ascetica molto forte esisteva; per noi l’anno di noviziato era un anno veramente straordinario. Poi, era contrassegnato dalle cosiddette prove del noviziato, prove continue sull’obbedienza: quando si racconta di alcuni santi o sante che nel noviziato venivano inviati a raccogliere l’acqua col cesto oppure a piantare un albero con le radici in su; sì, sono racconti leggendari, ma non sono lontani da quello che si voleva. È vero che era un’ascetica molto forte, e la vita religiosa era più all’interno di una ascesi che di una visione dell’imitazione e sequela di Cristo; però sono contento di questa formazione, mi è servita per fare i voti, per rimanere fedele al Signore, e adesso sono arrivato a 81 anni, quindi ho 60 anni di vita religiosa, 60! Se una formazione sostiene una persona per 60 anni, possiamo dire che è efficace, no?» E aggiungeva: «Nella vita religiosa noi abbiamo i voti e i consigli evangelici. Tenete presente che i voti sono la dimensione giuridica che è necessario fare perché nella vita è necessario che ci siano anche certe cose ben precise. Però la virtù non ha limiti, la Chiesa mette dei limiti per quanto riguarda il voto di povertà, il voto di castità, il voto di obbedienza, ma alle virtù non mette nessun limite perché sa che non siamo mai abbastanza virtuosi nella castità, nella povertà, nell’obbedienza. E noi siamo chiamati non semplicemente a osservare i voti, ma a realizzare l’ideale pieno della vita consacrata che è la persona di Nostro Signore Gesù Cristo, [il diventare] memoria vivente di Nostro Signore Gesù Cristo [cf. S. Giovanni Paolo II, Vita consecrata, n. 22]. La nostra castità è la castità di Gesù, la nostra povertà è la povertà di Gesù, la nostra obbedienza è l’obbedienza di Gesù» (Conferenza alle Suore dell’Istituto “Serve del Signore e della Vergine di Matará”, 8 luglio 2016).
È stato un testimone constante del grande dono che significa la vita consacrata, e manifestava sempre sentimenti di gratitudine verso Dio per essere stato chiamato a seguire Gesù più da vicino fin da piccolo, nel suo particolare Istituto. Amava la vita consacrata, amava essere religioso e amava il suo Istituto. In occasione della sua consacrazione episcopale, nelle parole pronunziate alla fine della cerimonia, esprimeva questa sua gratitudine per il dono della vita religiosa: «ringrazio anzitutto Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. Nel suo progetto di amore, Dio non solo mi ha dato la vita, la fede e la vocazione religiosa missionaria nella congregazione dei Missionari di San Carlo, Scalabriniani; ma ha voluto farmi dono anche della pienezza del sacerdozio, conformandomi a Cristo buon Pastore e inserendomi nel collegio dei Vescovi, successori degli Apostoli […] Anzitutto devo ringraziare la mia famiglia religiosa, la congregazione scalabriniana, qui presente attraverso il superiore generale, P. Isaia Birillo, e consiglio; e molti confratelli, che hanno voluto farmi sentire particolarmente la loro vicinanza e fraternità. Alla Congregazione devo quello che sono come sacerdote, religioso, missionario e docente» (Parole pronunciate nella Basilica di San Pietro, il 21 febbraio 2004).